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La morsa della risacca

Vincenzo Troiani

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Belletristik/Erzählende Literatur

Beschreibung

Può accadere, ad un tratto, che il mare riscatti i suoi doni di bellezza e ardimento, i suoi spazi di preghiera e di amore e faccia sentire così un’altra sua voce. Un mare che cessa d’essere assorto, un altro mare. Poi l’acqua cresce, tu resti sulla riva e una corrente libera un mondo, perché esso possa ancora rinascere, quasi con furore. La risacca è una corrente marina, va e viene, ma è sempre di ritorno, forte, insidiosa, quasi violenta, che trascina indietro ogni cosa, gonfiando ogni cuore di nostalgia. Ed è simile all’idea che ci facciamo delle cose e, talvolta, persino della vita, così che poi essa, immancabilmente, ci deluda. Che sembra, in sostanza, l’immagine e il canto di chi è costretto a specchiarsi nello svolgersi di un’onda, a ritrovarsi per un attimo nel cavo della sua mano, senza potersi dare una giustificazione accettabile della sua esistenza, troppo simile al destino dei Sisifo d’ogni epoca. Di chi, poi, sembra ritrovare una voce “contro” un qualcosa, allo stesso modo in cui il mare ritrova uno scoglio su cui abbattersi, una chiglia di un vascello dell’uomo su cui frangersi. Pronto sempre a rimodulare il suo approccio, a riproporsi con una sorta di attenzioni più dolci e pacate di fronte alla sottile renella di una spiaggia, presso la quale non esita a sfinirsi in inattesi sussurri di pace e di armonia, umile e mite, mai rassegnata. Ogni volta, però, senza requie, perché il mare non muta mai sostanza e ritrova sempre la forza di riproporsi, anche duramente. Con una insistenza, quasi non arginabile, orchestrata quasi ambiguamente, quasi con una sorta di amore. Acqua su pietra, acqua che incanta, e sulla sabbia sprofonda, acqua che prima ti chiede di restare e che poi, se ti lascia, invoca il tuo ritorno. Resta, invece, al buio, come uno spettatore di notte, che nulla può, che poco vede, l’universo, che però respira, che però ti conforta, che ti fa sentire a casa, lasciando isole e altre scogliere, appena, più avanti. Nell’ombra. Per aiutarti a non desistere e, magari, a dimenticare. La risacca può essere, così, paragonata ed intesa proprio come una morsa, nascosta, insidiosa, che non allenta mai la sua presa sul tuo andare, che ti costringe, per salvarti, a salire sullo scoglio più vicino, dove ti isola, in attesa che si scarichi il suo travaglio e naufraghi, con esso, il tuo volere. Con tutto ciò che tu lasci, poi, a galleggiare a margine delle punte acuminate e crudeli del tuo disappunto, del tuo disincanto quando t’accorgi che non puoi più sentirti libero e vanamente ti agiti, se non ti soccorre il vento. E scegli la deriva e ti lasci andare, dimenticando che c’è sempre un altro mare, un’altra spiaggia, che non vedi, e anzi magari già senti, appena dietro ogni piccola rada. E, nei tuoi deliri, ti illudi proprio come l’oceano, che rompe la costa della terra e sembra volerla cancellare, per poter irrompere quando vuole, come per una via di fuga verso un approdo stabile, eterno. Lungo la scogliera, aperta ad ogni passaggio, resta impalpabile la schiuma, che va, torna e ribolle e brilla e diffonde ora, fra le pietre, il suo malinconico canto per l’integrità violata. E suona, risuona: sembra voce di un tempo lontano.

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