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Il cane di Dubček

Francesco Bonicelli Verrina

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1,99
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Belletristik / Hauptwerk vor 1945

Beschreibung

Dubček, di origini provinciali, con la semplicità dei suoi modi e del suo sorriso era riuscito, nel gennaio del 1968, in piena Guerra Fredda, ad arrivare alla dirigenza della segreteria del Partito comunista cecoslovacco, raccogliendo intorno a sé le istanze dei dissidenti e di chi chiedeva verità storica sui processi politici, sulle condanne a morte del regime e sull'alleanza fra l’Unione Sovietica e la Germania nazista, all’epoca della spartizione della Cecoslovacchia, della Polonia e della Romania (1939-40). La Cecoslovacchia aveva conosciuto un tetro periodo di intense e sanguinose repressioni politiche. Dubček liberò le arti, le lettere, gli studi dalla cappa della censura di regime e aprì i confini, portando in auge molti dei partigiani che avevano fatto la resistenza.
Quando, abbandonato dall’Occidente, subì la condanna sovietica e la Cecoslovacchia fu invasa dalle armate del Patto di Varsavia e dell’Urss, il 21 agosto 1968, Dubček e i suoi compagni furono rapiti nottetempo, portati a Mosca e costretti a firmare una “resa”. Successivamente fu espulso dal partito e messo di fatto agli arresti domiciliari, ridotto al silenzio, seguito da informatori giorno e notte, con un modesto impiego come meccanico della guardia forestale.
Nel 1989 uscì dal silenzio e tornò in politica a fianco dei dissidenti della Rivoluzione di Velluto che pacificamente fece crollare il regime cecoslovacco mentre a Berlino crollava il muro. Dubček, fino alla sua tragica fine, avvenuta a causa di un misterioso incidente automobilistico nel 1992, fu bollato come “comunista” da politici nazionalisti che riabilitavano “vecchie glorie” del fascismo e dello stalinismo e non potevano tollerare il volto umano del suo socialismo. Dubček d'altro canto non volle mai rinunciare a difendere la sua Primavera e quei suoi particolari ideali comunisti che lo avevano guidato e gli erano costati la libertà e tanti sacrifici ricaduti anche sulla sua famiglia e sui suoi amici. Nei giorni in cui l’autore scrisse questo racconto, assisteva all’agonia di un cagnolino, di nome Lucky, che gli ispirò questo speciale punto di vista “canino”, pietoso e più che umano, pensando a Diogene, che provocatoriamente cercava l’uomo fra le folle e pensava che l’etica canina avesse molto da insegnare agli uomini, lupi per i loro simili, che fanno paura anche ai veri lupi.

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