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PoetAI

È l’immagine che crea la parola o la parola che crea l’immagine?

Carlo Alberto Calcagno

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Belletristik / Lyrik, Dramatik

Beschreibung

Ieri notte prima di addormentarmi mi è venuta l’idea di convertire in immagini le poesie che ho scritto negli ultimi 25 anni.
E l’ho realizzata con l’Intelligenza Artificiale.
L’esperimento è stato davvero interessante perché ha fatto sorgere nuove constatazioni e ha generato nuove domande.
Partiamo dalle constatazioni.
Anzitutto l’Intelligenza Artificiale attuale non è stata certamente programmata per i poeti.
Se fosse vivo oggi, Pablo Neruda non riuscirebbe a convertire in immagini nemmeno una delle sue poesie.
I programmatori hanno bandito ad esempio parole come “seno” (mentre passa curiosamente la parola “seni”) e tutte quelle metafore che in un modo o nell’altro fanno riferimento all’atto sessuale.
Di talché la poesia si ritrova in una gabbia di perbenismo puritano, come del resto la manifestazione del pensiero.
Sembra quasi di essere tornati al Ventennio.
Inoltre si mettono al bando alcune parole che, sempre secondo i programmatori, sono “pericolose” e che secondo una concezione assolutamente arbitraria, possono portare al suicidio, alla tristezza e alla depressione.
I programmatori comunque non sanno che il poeta scrive soprattutto quando le cose non vanno per il verso giusto.
Quando è felice il poeta è come il letto desertico di un torrente, è in secca.
Curiosamente poi coi pixel vengono esaltate dimensioni e distorsioni, a mio giudizio, davvero psicologicamente impattanti, come ad esempio le rappresentazioni truculente della morte e dell’Inferno (che qui ovviamente ometto).
Alcune mie liriche non sono rappresentabili in immagini da un pc almeno allo stato attuale: la rete artificiale è troppo semplice e ridotta rispetto ai miliardi di connessioni che formano la rete neurale.
Rispetto all’inconscio che sprigiona potentemente dalle parole, le immagini artificiali non sanno accendere che una debole fiammella, se e quando la percepiscono.
Le immagini, poi e in quanto appunto creazioni artificiali, sono per loro natura artefatte e ci conducono spesso in un mondo che nemmeno Kafka o i poeti maledetti avrebbero potuto lontanamente immaginare. Le rappresentazioni elettroniche, come si vedrà, non rispettano particolari canoni estetici od etici e di ordine (anche se i loro inventori frustrano il pensiero all’origine) e cercano tuttalpiù di imitare un inconscio che nessuno conosce.
Le rappresentazioni che vengono fuori dal sistema binario sono poi talvolta sessiste, figlie anche loro purtroppo di una certa cultura: prendono di mira le donne, utilizzano i loro volti per esprimere concetti non del tutto lusinghieri. Mai un poeta è stato sfiorato da certe categorizzazioni.
Su questo bisognerebbe interrogarsi.
Soltanto in rari casi le immagini risultano realmente efficaci nel senso di fornire realmente una voce visiva alle parole che la mente del poeta o del lettore possono riconoscere.
Le nuove domande che invece sorgono in me riguardano soprattutto gli impieghi di questa tecnologia che intravedo in terapia: la conversione in immagini rende palese il fatto che l’attività umana è scomponibile in diversi fattori che hanno una vita propria ed una differente interpretazione: il pensiero, la parola scritta e l’immagine.
Ebbene la cura attuale indaga le parole o chi le pronuncia o entrambi ed opera una reductio ad unum?
… continua

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