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Cyberbullismo. Conseguenze Reali di Violenze Digitali

Beatrice Martino

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Schule und Lernen / Schulbücher Allgemeinbildende Schulen

Beschreibung

Nell’era digitale attuale, la tecnologia ha comportato  cambiamenti significativi nello studio, nel lavoro e, in parte, anche nelle relazioni interpersonali. Ha permesso, inoltre, un’ampia disponibilità di accesso alle informazioni in rete, delle quali, però,  non tutti hanno competenza e conoscenza adeguata.
Le chat, le e-mail ed i social network sono luoghi “protetti”,  anonimi e deresponsabilizzanti che, negli ultimi tempi, hanno assunto un carattere estremamente seducente per chi li utilizza come  strumenti prevaricatori.
Un riferimento specifico è rivolto ai nativi digitali, i quali sembrano mostrare una “padronanza eccellente” di tali tecnologie, attraverso le quali  definiscono la propria identità, reale o fittizia che sia. L’aspetto ancora più di rilievo è possedere, però, la consapevolezza ed il controllo di questi mezzi affinché il loro uso avvenga in modo responsabile,  etico, ma soprattutto legale.
Nel primo capitolo di questa tesi è stato affrontato il tema del cyberbullismo, coniato per la prima volta  nel 2002 dallo studioso canadese Bill Belsey, sino ad arrivare ad una definizione “ufficiale” solo nel 2008 da parte di Peter K. Smith. Ad ogni modo, sono ancora molti gli studiosi che ritengono tale  fenomeno difficile da descrivere o inserire in una categoria specifica, poiché, rispetto al bullismo classico, mostra alcuni elementi che si discostano da quest’ultimo: la  reiterazione nel tempo delle violenze messe in atto, il numero di persone coinvolte e i mezzi digitali attraverso i quali vengono messe in atto.
Un contributo significativo è stato fornito nel 2004 da  Nancy Willard, scrittrice e poetessa di letteratura per ragazzi, delineando ben sette tipologie di cyberbullismo, rendendolo più facile da identificare e da comprendere. Ad ufficializzare  la gravità e la diffusione del fenomeno, invece, vi sono i recenti dati ISTAT, EURISPES 2018, dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza e dell’ Osservatorio Social Warning che hanno presentato percentuali significative (tra il 70 e l’ 80%) relative all’uso smodato e non supervisionato dei dispostivi elettronici da parte degli adolescenti e le dichiarazioni da parte della  Polizia Postale e del Telefono Azzurro in merito all’aumento delle denunce di cyberbullismo (circa il 65%), da parte dei giovani, anche al di sotto dei quattordici anni, nel medesimo anno.
Nel secondo capitolo è stato delineato un breve confronto tra il cyberbullismo e il bullismo tradizionale, del quale Dan Olweus, psicologo e docente svedese, ha generato nel 1993 la sua prima definizione, individuandone, successivamente,  diverse tipologie. Un paragone necessario per definire tutti quei comportamenti che vengono messi in atto dagli adolescenti durante lo sviluppo ma, soprattutto,  per evitare diagnosi affrettate che possano condurre ad interventi psicoeducativi poco funzionali o fallimentari.
La Dott.ssa Anna Oliverio Ferraris, scrittrice, psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva nonché docente di psicologia dello sviluppo all’Università di Roma La Sapienza ha, infatti,  descritto meticolosamente quali siano le differenze sostanziali tra il bullismo e i comportamenti tipici dell’età adolescenziale, i quali possono presentare tratti di aggressività più o meno importanti o similari agli atti di bullismo e  le diverse conseguenze annesse.
Nel terzo capitolo, infine, sono state presentate le ripercussioni legali e psicopatologiche del cyberbullismo ma, soprattutto, gli  interventi di prevenzione e sensibilizzazione. Secondo i dati riportati dall’Osservatorio Nazionale Adolescenza oltre il 50% delle cybervittime ha mostrato importanti  segni di disagio psicologico più o meno rilevanti: un particolare riferimento va alle condotte autolesive, sindromi ansioso-depressive, disturbi alimentari e del sonno fino ai suicidi veri e propri.
Nel bullismo risulta, ad oggi, più semplice intervenire poiché  i soprusi restano nel contesto in cui avvengono (la scuola), i feedback da parte delle vittime sono più evidenti e hanno come caratteristica la  visibilità dell’aggressore; nel cyberbullismo, il quadro risulta molto più complesso, poiché tutto accade nell’anonimato della rete (attraverso l’uso di avatar o profili falsi) e molto più rapidamente. In più, la maggior parte delle  cybervittime non denuncia, sottovaluta le violenze o non ne parla, dando vita al “sommerso”, un aspetto che accompagna e dona sempre più potere al cyberbullo e al fenomeno stesso.
Ad ogni modo,  grazie alla L.71/17, il cyberbullismo è stato dichiarato ufficialmente reato, con ripercussioni legali anche molto severe, laddove l’extrema ratio (sistemi di rieducazione per i minori, i  maggiori responsabilità di tali atti) non sia possibile da applicare.
In collaborazione con le campagne e i progetti di contrasto e sensibilizzazione, soprattutto da parte delle  istituzioni scolastiche, è stato possibile, inoltre, attuare e organizzare giornate di educazione alla legalità e di media education per generare nei ragazzi (genitori compresi) una maggiore consapevolezza del fenomeno e  l’attuazione di tutti quei comportamenti prosociali e di peer education che garantiscono l’acquisizione delle regole di base della convivenza civile e lo  sviluppo di pensiero critico.

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Schlagwörter

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